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BIOEDILIZIA-ARCHITETTURA DEL BENESSERE
"...Lo scopo dell'architettura è di proteggere e migliorare la
vita dell'uomo sulla terra, per appagare il suo credo nella nobiltà della sua
esistenza..."
Eliel Saarinen
Il termine bioedilizia, molto spesso
conosciuto con altri sinonimi come bioarchitettura olistica, architettura del benessere, architettura bioecologica, architettura naturale, architettura ecologica,
etc, è la traduzione del termine tedesco "Baubiologie", ossia "studio della vita o degli
esseri viventi in relazione alle costruzioni", che fu introdotto per
la prima volta nel 1976 da Anton Shneider, fondatore
dell'istituto dedicato a questa ricerca presso Neubern (Monaco di
Baviera). La bioedilizia investe i differenti aspetti del
costruire e dell’abitare ed ha, come finalità, lo studio, la
progettazione e la realizzazione di edifici che soddisfino le
esigenze psico-fisiche, biologiche e spirituali di chi vi abita; si tratta
di un approccio progettuale rispettoso del rapporto equilibrato
tra ambiente (risorse disponibili) – benessere psicofisico e salute (modo di abitare) –
architettura (modalità progettuali e costruttive).
Inoltre recenti studi di psiconeuroimmunologia (PNEI) hanno dimostrato che le piacevoli sensazioni (".....sensazioni a pelle") che possono essere sperimentate in un ambiente armonioso in cui si "sente e si respira" un senso di positività, equilibrio, serenità, pace e benessere, attivano una risposta biochimica che influenza non solo la nostra psiche ed il sistema nervoso centrale, ma anche il nostro sistema immunitario: da quì la nascita "dell'architettura del benessere", ovvero dell'arte di vivere in armonia con l'ambiente che ci circonda mediante un approccio olistico, integrato e multidisciplinare, che ha come obiettivo il miglioramento del benessere psicofisico, della qualità della vita e dello stato d'animo degli abitanti.
E’ comunque evidente che diversi aspetti della bioedilizia
di
cui oggi ci interessiamo, sono stati alla base del buon costruire nei
secoli passati e sono riscontrabili proprio nell’architettura
tradizionale, risultato della saggezza di generazioni di costruttori
che hanno affinato nel tempo la scelta dei materiali, le tecniche realizzative ed i modi progettuali in stretto rapporto con le
disponibilità e le risorse locali, con i fattori socio-culturali ed
economici, con le situazioni climatiche ed ambientali.
Infatti, fino all’avvento della società industriale, i
materiali e le finiture impiegate nelle costruzioni, soprattutto
nelle architetture spontanee, vernacolari, che Rudofsky ha definito
con il termine sintetico di “architettura senza architetti”, erano
di origine naturale.
In seguito, l'industrializzazione ed il contributo della
chimica hanno immesso nel mercato delle costruzioni centinaia dl
nuovi materiali, che avrebbero dovuto perfezionare l'abitare ed il
costruire ma che, in realtà, ne hanno reso più difficile il
controllo dl qualità ed il controllo della rispondenza alle esigenze
degli abitanti. In definitiva, come prima di parlare è necessario
contare fino a dieci per poter riflettere, così, prima di applicare
delle nuove soluzioni non adeguatamente sperimentate, sarebbe bene
affrontare una lettura delle scelte non del tutto consapevoli fatte
nel recente passato, quando la componente ecologica non
rappresentava un requisito ed ogni eccesso era lecito.
Dal dopoguerra ad oggi, la crescita del settore delle
costruzioni e la disponibilità di nuovi materiali di basso costo (cementi d’altoforno, materiali isolanti a base di urea-formaldeide,
collanti bicomponenti ad alto contenuto di VOC, vernici a base di
solventi come idrocarburi clorurati, xiloli, toluene, etc), ha
portato ad uno smisurato impiego di componenti edilizi artificiali,
riducendo a circa il 20% del totale l’impiego di quelli
tradizionali come, ad esempio, l’argilla cruda o cotta, la calce, il cocciopesto, la caseina, il legno, il sughero, la paglia, le fibre
di cellulosa, di canna palustre e di canapa, il lino e le vernici di
origine vegetale.
Certo, non è sempre vero che la naturalità sposi la tutela
dell’ambiente: basta fare l’esempio dell’amianto che è una fibra
naturale e per la cui produzione non è neppure richiesto un grande
consumo di energia. In questo campo, infatti, è molto facile cadere in equivoci e molti
prodotti, che si autodichiarano “bio-ecologici”, di ecologico
e di biocompatibile non hanno
nient’altro se non la propria “comunicazione”, che spesso mette in
risalto dettagli insignificanti al fine di catturare i consumatori
più sensibili. Il risultato finale è l'inquinamento diffuso che mette in
serio pericolo la stessa sopravvivenza del genere umano, con una
pubblicità sfrenata e persuasiva che offusca la nostra capacità di
renderci conto di questo fatto: non c'è più alcun limite a questa frenesia edonistica del
profitto a tutti i costi, anche a danno della salute di noi tutti;
basti pensare che, secondo alcuni dati dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità, solo il 5% dei prodotti usati in edilizia
risulta “innocuo” per l’uomo.
Ragioni pratiche, etiche e morali impongono, quindi, una
drastica inversione di rotta ed una riscoperta degli elementi
fondamentali del vivere in sintonia con la natura: la casa, infatti,
rappresenta la nostra “terza pelle”, che, oltre ad avvolgerci ed a
proteggerci, deve essere capace di “respirare”, di avere cioè
continui interscambi con l’ambiente esterno al fine di fornire un
ambiente interno salubre, che non arrechi alcuna perturbazione agli
individui che vi dimorano.
In definitiva, il benessere ambientale di un individuo che si
trovi all’interno di un abitazione, può essere considerato
dipendente da diversi fattori, come i fattori di natura
termoigrometrica, di natura chimico-emissiva e radio-emissiva, di
natura respiratoria, olfattiva, tattile, di percezione, etc:
l’alterazione dei valori di uno dei parametri citati implica,
necessariamente, l’alterazione delle condizioni globali di salubrità
e, quindi, di comfort ambientale.
Pertanto, i punti qualificanti e basilari della bioedilizia sono:
l'indagine preliminare per individuare, localizzare e
misurare gli elementi perturbatori ed inquinanti che possono
sussistere nell'ambiente, nei materiali e negli impianti;
l'analisi della potenzialità energetica del sito, che dovrà
essere utilizzata al massimo grado, usando solo impianti tecnologici bioecocompatibili, ridotti al minimo indispensabile e comunque in
grado di garantire un microclima sempre gradevole in un ambiente
naturale riequilibrato;
la tutela e la salvaguardia dell'ambiente, anche in caso di
inserimenti che devono soddisfare la condizione di compatibilità;
i criteri di scelta dei materiali, che devono soddisfare i
seguenti requisiti fondamentali:
a) siano possibilmente reperibili in loco;
b) si privilegino quelli naturali non nocivi, che non siano stati resi inquinanti da
trasformazioni strutturali, stravolgenti la loro composizione
chimica; c) in ogni fase di utilizzo e trasformazione essi conservino costantemente la propria
bio-ecologicìtà;
d) non vengano impiegati
nanomateriali (ad esempio
biossido di titanio, silicio, etc) di diametro< 0,1 micron;
e) siano facilmente riciclabili e riutilizzabili.
Una strada per valutare la bio-eco-compatibilità di un materiale, oltre ai vari
marchi e le certificazioni rilasciati da organismi di valutazione bio-ecologica, ( non sempre indipendenti e, quindi,
non del tutto
attendibili !!! ) è rappresentata dalla dichiarazione completa del
produttore relativa ai componenti e/o alla funzione bioecologica
espletata dal singolo ingrediente, componente e prodotto finale.
Oltre a questo, è necessaria un’attenta analisi dell’intero ciclo
di vita del prodotto (LCA), che consente di studiare l’impatto
complessivo di un prodotto, dal momento dell’estrazione delle
materie prime utilizzate, fino al suo smaltimento e all’eventuale
riciclaggio, passando attraverso i costi ambientali del trasporto e
dei processi di produzione, di applicazione e di utilizzo.
Questa metodologia risulta estremamente utile anche per arrivare ad un'adeguata
valutazione dei costi dei materiali: infatti, non sono i prodotti bioecocompatibili a costare di più, sono gli altri che hanno prezzi
troppo bassi perché calcolati scorrettamente, poiché, nella
valutazione dei prezzi, non si prendono mai in considerazione, sia i
costi ambientali che si devono affrontare (quelli che poi ripaghiamo tutti con la nostra
salute e con i problemi di inquinamento o smaltimento), sia i costi di utilizzo, in termini di riduzione dei
consumi di energia e di risorse, riparabilità, versatilità e,
soprattutto, di durabilità nel tempo del materiale o prodotto
impiegato.
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